Se Monica Rossi mi avesse intervistata…

“Monica Rossi” è un uomo che mantiene l’anonimato su FB dietro questo nickname. Soprattutto è una persona che ne sa moltissimo di editoria e di tutto il mondo che ruota intorno ai libri. Qualche mese fa ha lanciato su FB una serie di interviste a scrittori/editor/giornalisti che, grazie a domande del tutto inusuali, hanno avuto un grandissimo successo.

Ha quindi deciso, “Monica Rossi”, di prevedere una seconda stagione, sempre interpellando persone che contano nel mondo editoriale.

E no, prima che lo diciate voi, no. Io non sono tra quelle.

Però il misterioso e implacabile intervistatore mi ha concesso di “usare” le sue domande e fare un’intervista extra, tutta mia.

Quindi eccola qui, con un enorme grazie a “Monica Rossi” per la disponibilità.

https://www.facebook.com/monica.rossi.77398143

 

Stai per perdere due sensi per sempre: gusto e udito. Quale canzone ascolti per l’ultima volta? E mentre l’ascolti, che cosa mangi e/o bevi?

Vorrei ascoltare “La Traviata” di Giuseppe Verdi, per intero, pasteggiando con dolci al cucchiaio ricchi di creme dense e pastose (tiramisù – creme brulè – cheesecake). Se invece è tassativa la canzone… “Lost on you” di LP.

A oggi, puoi dire che la tua è stata una vita felice?

Felice a tratti, fortunata il giusto. Mi riconosco di aver agito secondo quanto mi dettavano istinto e coscienza (quando venivano in conflitto, era la coscienza – sempre lei – a prevalere) e di aver realizzato buona parte degli scopi che mi ero prefissa. In compenso gli obiettivi ancora da raggiungere abbondano e ritengo che questo sia un buon viatico per mantenersi giovani dentro.

Se vuoi, puoi dare una valutazione da zero a cento.

Uhm… 77.

Sei morto. Contro ogni previsione ti dicono che la tua vita è stata esemplare. Ecco il premio che ti spetta: ti reincarni e decidi tutto tu. Genitori, sesso, luogo, professione, aspetto fisico, obiettivi che raggiungerai. Insomma, tutto.

Genitori italiani migrati a Londra, papà melomane e critico musicale, mamma proprietaria di una libreria (le passioni sono quelle che i miei veri genitori possedevano già). Sesso: donna. Luogo: Londra. Professione: scrittrice non emergente, non aspirante, scrittrice e punto. Aspetto fisico: quello che ho con la consapevolezza che è un bell’aspetto. Obiettivi che raggiungerò: vivrò di scrittura e potrò acquistare una casetta in Scozia, affacciata sul mare, nella quale scrivere le mie storie. Sì, sarebbe bello.

Di tutti i libri che hai letto c’è una frase, una sola, che ha inciso profondamente nel tuo io? Altrimenti, un libro.

Leggo molto, ricordo le emozioni, non riconoscerei un incipit manco morta (spesso neanche i miei). Posso citare un libro che mi ha colpita e che continuo a rileggere negli anni: “Dune” di Frank Herbert. Perché non cessa mai di dirmi cose nuove.

Ma tu, come scrittore, alla fine, quante ore lavori al giorno?

Non vivo di scrittura, quindi il tempo che dedico alla me scrittrice è quello che riesco a rubare. E ne rubo un sacco, sempre, tutte le volte che posso.

Io da ragazzino guardavo i film di Pierino e poi, per emulare, spiavo dal buco della serratura la domestica o le amiche di mia sorella. Quante sberle mi sono preso. Poi ho scoperto il sesso vero e proprio e, piano piano, ho potuto sperimentare. Che avventura! Oggi qualsiasi undicenne con due click è proiettato in un mondo di pornografia diviso in categorie. Fra queste, il tradizionale sesso a due non è quasi neanche più contemplato. Che effetto avrà tutto questo nelle menti – e nelle azioni – delle nuove generazioni?

Così, di getto, mi viene da dire: spoetizzante. Poi cerco di ripensare alla me ragazzina e al modo in cui pensavo al sesso e al modo in cui, poi, l’ho vissuto. Per come sono stata cresciuta, il sesso ha sempre avuto una valenza quasi sacrale. Mai concepito il concetto di “una botta e via”. Mi sarei sentita “sprecata”. Avevo un’altissima considerazione della mia dignità come persona, prima ancora che come donna, e – allo stesso tempo – un’autostima pressoché nulla. Questo mi convinceva che i ragazzini, poi ragazzi, poi uomini che mi si fossero accostati, non avrebbero mai preso sul serio un rapporto che andasse al di là della semplice ginnastica da camera. Ciò che le attuali generazioni si trovano davanti grazie alla Rete è un catalogo completo di tutto ciò che due o più persone possono fare con i propri corpi. Bello? Mi viene da dire no. Nefasto? In buona parte, se è vero che l’approccio col sesso avviene sempre più presto e con sempre maggiore superficialità. Però io nelle nuove generazioni vedo una consapevolezza diversa, forse non pienamente comprensibile per una boomer quale io sono. Sanno cosa si può fare e come, magari lo sperimentano con quell’incoscienza che può portare conseguenze pesanti (malattie, delusioni), però all’amore, al sentimento, al valore aggiunto che un coinvolgimento emotivo può dare a tutte quelle performance viste in Rete, ci credono. Lo cercano. A conti fatti, sono ottimista.

Hai mai rubato? Se sì, cosa?

Non io in prima persona. Quando ero adolescente non esistevano dei veri e propri centri commerciali, ma c’erano i grandi magazzini. Un giorno entrammo in uno di questi, alla periferia di Roma, in gruppo. Tutti compagni di classe, Uno di loro, visto che anche allora avevo una selva di riccioli in testa, decise di regalarmi un fermaglio di cuoio tagliato a forma di foglia, con i fori per un bastoncino di legno. Un regalo fatto nell’ottica della spesa proletaria: lo rubò. Cercai di convincerlo a non farlo, ma alla fine fuggimmo con la refurtiva. Quel fermaglio ce l’ho ancora e, no, il mio compagno di scuola non era innamorato di me. Era un amico.

Stai camminando. Giri l’angolo. Quasi ti scontri con un bambino. Vi fermate. Vi guardate. Sei tu da piccolo. Poche parole. Giusto una frase. Cosa gli dici?

“Ce la farai. Non lasciare mai che ti convincano del contrario.”

Gli audiolibri, i podcast, gli ebook. Soprattutto Amazon. Dieci anni fa Blockbuster aveva undicimila punti vendita. Ora ne è rimasto uno, a Bend, in Oregon. Che futuro hanno le librerie?

Ancora una volta, mi proclamo ottimista e prevedo per le librerie lo stesso destino che hanno avuto i negozi di dischi. Di vinile, intendo. Io c’ero all’avvento dei CD e sembrava una rivoluzione che avrebbe cancellato giradischi e vinili dalla storia. Per qualche anno è stato così, poi, lenti ma inesorabili, i 33 giri hanno saputo riemergere. Ne ho una collezione piuttosto importante, grazie a mio padre, e non li darei via per niente al mondo. Per i libri, quelli che assumono un significato per ciascuno di noi, vale la stessa cosa. Ci sono molte CE che rifiutano di fornire la versione digitale delle loro uscite. Io, come autrice, non accetterei un contratto di questo tipo e la considero una forzatura snob. Ma è un dato di fatto che le librerie hanno ancora il loro fascino e che – nonostante io sia una fruitrice di Amazon – se posso, un salto ce lo faccio sempre.

Ma poi, alla fine, nel corso della vita, anche solo psicologicamente, le misure contano?

Contano i numeri, quindi anche le misure. Contano i voti con cui si concludono gli studi, contano gli zeri del conto in banca. Contano le vendite dei libri che si scrivono. Contano gli anni che si accumulano. La sola cosa che non è numerabile e quindi misurabile, sono i sogni. Ecco, in quanto conclamata sognatrice, posso “contare” su un patrimonio pressoché inesauribile di suggestioni, idee, storie. Mi rifugio lì e mi sento, psicologicamente parlando, una… superdotata.

Statisticamente le persone si alzano la mattina alle sette, si fanno un’ora di macchina per entrare in ufficio alle otto, ci rimangono per otto ore, si fanno un’altra ora di macchina per tornare a casa, mangiano e si addormentano. Tutto questo, se va bene, per possedere – dopo trenta anni – quella stessa casa che di fatto li accoglie solo per dormire. hai quindici anni. Hai tutta la vita davanti. Che lavoro vorresti fare?

Ho cominciato a scrivere con l’idea di farne una professione proprio a quindici anni. Poi ho aspettato trent’anni prima di provare a pubblicare qualcosa, ma questo è un altro discorso. Vorrei scrivere e pagarci le bollette, il mutuo e tutto quello che serve. Nel qual caso non mi peserebbero le otto ore e non dovrei attraversare una città caotica, andata e ritorno, perché il posto di lavoro ce l’avrei a casa o dovunque io dovessi trovarmi.

Che cos’è la cultura?

La sola chiave che ci consenta di interpretare il mondo. Una chiave che ci dobbiamo fabbricare da soli, pezzo per pezzo, coltivando la curiosità e la voglia di andare sempre più a fondo, alla radice delle cose. Poi non importa se hai una laurea o dieci, se hai fatto il master, se sei un docente universitario o un operaio. La cultura è la stratificazione delle esperienze e delle riflessioni che riesci a trarne. Non importa sapere quando è morto Napoleone o citare a memoria l’incipit di Guerra e Pace. Le nozioni si recuperano, se sai dove andarle a cercare. Ecco, la cultura è un metodo per investigare ciò che ci circonda.

Ti arrivano i resoconti di vendita. Hai venduto seicentotrentadue libri. Oppure novecentoventinove. Oppure la cifra che la casa editrice ha deciso di comunicarti. Sì: non c’è – nel duemilaventitrè – modo di sapere con esattezza quanti libri hai venduto. Quello che decide di dirti la casa editrice, quello è. Poi compri su Amazon delle fascette stringitubo. Costo: cinquanta centesimi. Da quando fai l’ordine con un semplice codice puoi controllare lo stato della consegna. Da dove è partita, dove si trova e a che ora arriverà. Il Tracking. Ce l’hanno tutti i corrieri del mondo. Creare una app (che potrebbe fare un sedicenne) collegata al codice ISBN è semplicissimo. Tu la scarichi e in tempo reale sai esattamente ogni volta che è stato acquistato un tuo libro. E magari anche dove. Personalmente l’ho proposto a tutti quelli che nelle case editrici hanno potere decisionare. Ma l’ho proposto in modo subdolo tipo così: “Speriamo che non tirino mai fuori una app del genere altrimenti son cazzi.” Risposta: “Zitto, zitto, per carità! Non dirlo neanche per scherzo.” Tutto normale?

No, affatto. Però così funziona, a quanto pare. Magari se gli scrittori da centinaia di migliaia di copie prendessero posizione contro questo “sistema”, qualcosa potrebbe cambiare. Ma mi viene da pensare che, volente o nolente, chi ha “sfondato” si senta in dovere di non apparire come il guastafeste di turno. Ed ecco che tutti coloro che vivono e pubblicano ai margini del vero mercato editoriale, si rivolgono al self-publishing che – almeno – ti dà l’impressione di avere il controllo totale del prodotto che stai mettendo sul mercato.

Il momento più imbarazzante della tua vita. Cioè il momento in cui avresti proprio voluto scomparire.

Quando, convinta di essere ricambiata, ho dichiarato il mio amore a chi, invece, mi considerava solo un’amica con benefit. A pensarci, mi sotterrerei ancora oggi. Soprattutto per essere stata tanto cieca.

La tua paura più grande.

Ho visto la mente di mia madre perdere pezzi, giorno dopo giorno. Fino a non riconoscermi. Demenza senile. Ecco, il mio terrore è perdere la sola cosa di cui vado veramente fiera: la mia capacità intellettiva.

Chi tradisce una volta tradisce sempre? E tu, hai tradito?

Ho tradito. Ma non ritengo che chi tradisce una volta, tradisca sempre. Io non l’ho più fatto. In quel momento ho espresso un disagio. E non sono fiera della sofferenza che ho causato, anzi, me ne faccio ancora una colpa.

Ti ricordi, se c’è, l’esatto momento in cui hai deciso di scrivere un libro?

Sì, avevo otto anni. Chiusi il libro che avevo appena letto, di cui non ricordo il titolo né la trama, a parte che c’erano una giostra magica e una perla al centro della vicenda, e pensai: voglio farlo anch’io.

E sai da dove nasce la tua ispirazione? Dai libri che ho letto e dimenticato, dalla vita che ho vissuto, dalle volte che ho pianto, dai viaggi che ho fatto, da tutto un insieme di cose che sedimentano, cambiano e poi fioriscono.

E quando non nasce, come fai? Scrivo da quando ero adolescente, pubblico dal 2008, sto per compiere 60 anni e non è ancora mai successo che l’ispirazione non nascesse. Forse, se dovesse accadere, tornerei a limitarmi alla scrittura di mestiere, quella che serve per essere ciò che sono: giornalista.

La prima cosa che guardi in un uomo. 

Gli occhi, meglio se chiari.

La prima cosa che guardi in una donna.

La figura nell’insieme e il modo di muoversi.

La prima cosa che guardi di una persona.

Il modo di porsi nei confronti degli altri. La differenza tra il comportamento che ha verso chi percepisce come superiore, verso chi ritiene proprio pari e verso chi giudica sottoposto.

Diritti civili, questione LGBT, fluidità, inclusione. Tutto molto interessante certo, poi però quando si parla di sesso in prima persona scappano tutti. Chi si vergogna, chi si nasconde, chi si offende. Non ha molto senso. Anche perché, per smuovere davvero le cose, gli esempi valgono più di mille parole. E allora, se vuoi, ci proviamo. Senza cattivo gusto, senza volgarità, senza esagerare, senza metterti in difficoltà. Io ti sottopongo cinque tematiche e su, se vuoi, scrivi cosa nel pensi.

La castità come scelta di vita.

No, non ne sarei capace, ma rispetto chi affronta una simile prova. Non so fino a che punto sia realmente possibile, però.

Il sesso senza amore.

Deformazione educativa ricevuta fin dalla più tenera età: no, non ci riesco. Mi farebbe sentire strumento e, insieme, sfruttatrice.

Un’esperienza omosessuale.

Non ne ho mai avute. Però ricordo lo sguardo di una donna dichiaratamente lesbica. Ed era molto intrigante.

Lo scambio di coppia.

Lo so, sono noiosa e appaio pure bacchettona, però… ci vuole una confidenza con l’altra coppia che travalica l’amicizia. Oppure la spudoratezza totale di “buttarsi” con dei perfetti sconosciuti. Ma non sono sicura che non ci sarebbero conseguenze.

Il sesso di gruppo.

Come sopra. Però scagli la prima pietra chi non ha mai fantasticato in questo senso.

Io (non io io eh) pubblico un libro. Anche bello. Con una casa editrice vera. Anche importante. Non sarà un capolavoro ma è un buon libro. Quindi arriva lo scatolone a casa con le prime copie. Che emozione! Che felicità! Lo pubblicizzo subito sui social ai miei cento/ duecento contatti. Tanti complimenti, tanti auguri. Dicono che lo compreranno in cinquanta. Forse lo faranno in due. la casa editrice mi ha detto che per la promozione ci devo pensare io. La domanda è: come faccio in pratica a promuovere il mio libro?

Sfatiamo un mito: i parenti e gli amici stretti non comprano un tuo libro manco morti. Ci sono fulgide eccezioni, ma non fanno testo. E comunque non puoi costringerli a leggere l’opera omnia. Quindi devi crearti un pubblico, cosa che non avviene dall’oggi al domani. I social aiutano se hai la pazienza certosina di investirci tempo ed energie, per anni. Sono su FB dal 2008, su IG dal 2016, su Tik Tok dal 2022. Ho frequentato gruppi, beccato troll e haters, ricevuto sonore delusioni e scoperto vere amicizie. Soprattutto ho evitato lo spam, non parlo quasi mai dei miei libri, cerco di condividere contenuti interessanti, di interagire. Spesso acquisto libri di altri autori e autrici con sincero interesse, ne parlo – se ritengo che siano testi validi. Non scambio recensioni favorevoli, ma non mi censuro se il libro di un’amica – secondo me – vale la pena. Tutto questo crea una “bolla” di persone che seguono con interesse e che, all’occorrenza, ti leggono. Non sarà una promozione col turbo, ma sulla lunga distanza funziona.

I figli. Un atto d’amore o d’egoismo?

Non ne ho voluti. Non mi mancano. Spero che siano sempre e solo un atto d’amore. Constato che, più volte di quanto mi piacerebbe scoprire, sono una proiezione dell’ego di uno o di entrambi i genitori.

Ora parliamo di futuro. E di blatte, scarafaggi, vermi e locuste. Che schifo eh? Invece prendere un animale, chessò un maiale (che tra l’altro è mediamente più intelligente di un cane), farlo vivere tutta la vita al buio e nel letame per poi ammazzarlo, farlo a pezzi e mangiarne la trippa, la lingua, il cervello, il fegato o il naso è una cosa normalissima. Mi viene in mente il gambero, cibo prelibato, amato da molti, che se vai a vedere sembra una cimice gigante. Io penso che la differenza sta tutta nel sapore. E nell’egoismo. Insetti e carne sintetica coltivata: il cibo del futuro. Cosa ne pensi?

Non sono vegetariana, ma limito moltissimo la carne. Quella sintetica l’assaggerei, così come assaggerei gli insetti, soprattutto sotto forma di sfarinati proteici. Condivido l’idea che la repulsione sia psicologica: i crostacei sono orridi quanto le cavallette. Anzi, io ho più paura di quelle che chiamano cicale di mare che delle cavallette vere e proprie. Sono convinta che dobbiamo cambiare il nostro modo di stare al mondo, se vogliamo averne ancora uno. Quindi rinunciare agli allevamenti intensivi e alla sibaritica opulenza degli scaffali nei supermercati. Quanta di quella assurda quantità di merce destinata all’alimentazione siamo in grado di ingurgitare? Che senso anno decine e decine di etichette diverse per lo stesso prodotto? Ci illudiamo di vivere in un mondo migliore solo perché possiamo scegliere tra marchi e lavorazioni, tra aromi artificiali e verdure ipertrofiche. Vorrei che avessimo il coraggio di cambiare, radicalmente. E lo vorrei per i figli che non ho voluto, per tutti coloro che oggi sono bambini e che non hanno idea del pianeta che gli andremo a consegnare.

Sei a Trieste, tu e altre due persone e dovete andare a Messina in macchina. Sono quattordici ore. Con chi vorresti viaggiare? E chi guiderebbe? Poi arrivate. Questi scendono, ti salutano e lasciano il posto ad altre due persone. Si torna a Trieste. ora due persone con cui proprio non vorresti avere nulla a che fare. Nomi e cognomi graditi.

Questa domanda avrebbe senso se io fossi una scrittrice/artista/giornalista/editor famosa. Non lo sono, però la sfida mi piace e quindi sparo alto, senza limitarmi al mondo dell’editoria. Da Trieste a Messina viaggerei con Marco Mengoni e Maurizio de Giovanni (lui lo conosco sul serio). Alla guida ci alterneremmo io e Mengoni, così Maurizio – tra una canzone e l’altra – ci racconta tutti i prossimi volumi dedicati a Ricciardi, ai Bastardi e al Napoli. Da Messina a Trieste mi toccherebbero Vittorio Sgarbi e Mario Giordano. Farei guidare loro a turno, per indossare le cuffiette ed evitare di ascoltarli.

La più grande invenzione di sempre.

Facile: la scrittura.

Silvio Berlusconi, bene o male, è uno degli uomini che ha più condizionato la storia di questo Paese. Un giorno, come tutti, passerà a miglior vita. L’epitaffio lo devi scrivere tu. Anzi! Gli epitaffi. Perché lui ne vuole due. Uno in lode, l’altro no.

Elevò la furbizia ad altissima manifestazione di intelligenza. Secondo me vale in entrambi i sensi.

Puoi fare una domanda (ma soprattutto ottenere risposta) a uno solo tra tutti gli animali che hai amato. Chi scegli e cosa domandi.

A Giuliano, il gatto che dopo il divorzio rimase (in modo consensuale) al mio ex marito, chiederei: “Ti abbiamo reso felice quanto tu hai fatto con noi?”

Entri in una stanza. Ci saranno dieci persone. Ad esempio una ragazza bellissima, un tamarro, un prete, un contadino, una signora che già a pelle ti sta antipatica, un disabile, una prostituta. Nessuno può parlare. Tu sì. Quelle persone sei sempre tu. Sono le tue reincarnazioni passate e future. Cosa dici?

Ragazze e ragazzi, siete esattamente quello che mi aspettavo. Soprattutto la signora antipatica.

Io dico che tutti i libri scritti e da scrivere sono già dentro la Bibbia. E non sto affatto parlando di religione. Io parlo di uomini, amore, storie, relazioni, dinamiche, odio, sentimenti. Di editoria, insomma. Ho torto?

Hai ragione, ma questo non significa che ciò che è già stato scritto non possa essere reiterato e migliorato. Lo credo fermamente. Perché la base delle storie, di tutte le storie, è come le note musicali: puoi trarne di tutto, da L’inverno di Vivaldi all’ultima di Lazza. La bravura e il senso stanno tutti lì.

Scrivi un libro. Splendido. Meraviglioso. Capolavoro. Campiello, Strega, Pulitzer. Libro dell’anno. Copertina sul Times. Un miliardo di copie vendute. Due ragazze adolescenti solo grazie al tuo libro non si suicidano. Crescono, si sposano, hanno dei figli. Famiglie felici insomma. Felici come te che gestisci il successo senza problemi. Scrivi un altro libro. Pessimo. Ridicolo. Senza senso. La critica ti massacra e i lettori ti deridono. Non reggi la pressione e poni fine alla tua vita. Ora torniamo al momento esatto in cui stai per inviare all’editore la mail con allegato il primo libro. Sai che tutto andrà così come hai appena letto e sai anche che non puoi fare nulla per cambiare gli eventi. Clicchi o non clicchi <invio>?

Clicco “invio”. Perché quelle due vite salvate e le famiglie che ne sono scaturite sono il premio più grande di tutti. Sono il successo vero. Che, nella realtà, mi convincerebbe a scrivere un terzo libro, invece di arrendermi. “Invio”, senza se e senza ma.

In percentuale, quanti sono i libri che leggi e rileggi più volte?

Pochi: “Il Signore degli Anelli” di Tolkien, “Dune” di Herbert, la serie di “Harry Potter” di Rowling, la serie de “La torre nera” di King (del quale rileggo volentieri anche qualche altro titolo).

L’Italia è una miniera di misteri irrisolti. Da Ustica a Emanuela Orlandi passando per Pipitone e Celentano. E moltissimi altri. Puoi sceglierne uno e vedere esattamente come si sono svolti i fatti. Proprio come in un film. Quale scegli?

La scomparsa di Emanuela Orlandi. Ero giovane, poco più grande di lei, e non ho mai smesso di chiedermi cosa le sia successo.

Noi siamo tutte persone educate, pulite, colte, buone, sagge ecc. ecc. Poi però vai a vedere e scopri che circa diciannovemila esseri umani muoiono di fame ogni giorno. E che attualmente nel mondo sono in corso cinquantanove guerre oltre la più nota Russia/Ucraina. E poi l’olocausto, Mao, Stalin, Hitler. E ancora i gulag, Nanchino e la bomba atomica. Una cosa però tutti insieme siamo riusciti a farla: abbiamo compromesso, e forse per sempre, il clima del pianeta che ci ospita. Dopo averlo ridotto a una discarica tra l’altro. Per amor di logica ti chiedo: l’estinzione della razza umana sarebbe un fatto assurdo o una conseguenza naturale?

Conseguenza naturale. Ma ne soffrirei, moltissimo. E vorrei che restasse traccia del nostro passaggio. Non la plastica e tutto il casino che abbiamo saputo combinare. L’arte visiva, la musica, un bel po’ di libri, l’architettura. Ogni volta che penso che siamo una massa di esseri indegni, metto su un disco di musica classica, ascolto e mi rendo conto che, in mezzo a tanto orrore, abbiamo saputo creare bellezza.

 

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