Ottavia pensò che davvero quella fosse cominciata come una serata di merda.
Il fattorino del macellaio in piazzetta (la carne migliore di tutto il paese, le sembrava di sentire sua madre), aveva dimenticato di farle la consegna e il suo chilo di arrosto magro di vitella restava attaccato al quarto di mucca nel gelo del frigorifero della boutique delle carni.
La sua amica Marinella, l’unica in grado di domare i suoi capelli gretti, aveva pensato di prendersi l’influenza lasciandola nelle mani della più imbranata delle shampiste. Col risultato che la sua chioma bruna aveva l’aspetto di un vecchio cespuglio, uno di quelli che rotolano nel deserto fin sugli stivali del pistolero.
In ultimo, non per importanza, la voce imbarazzata di Norberto l’aveva appena avvertita che un pauroso incidente sulla statale lo teneva bloccato al bivio per San Firmino rischiando di fondere la testata della vecchia duetto ereditata da papà. E dire che glielo aveva ripetuto mille volte di comprarsi una macchina nuova, magari una Bravo, come quella del suo principale, il signor Paolo, lento di comprendonio e svelto di mani. Fortuna che l’insalata capricciosa che si era inventata lì per lì, per non lasciare Norberto a stomaco vuoto, non correva il rischio di inacidire, magari si sarebbe ammosciata un po’. Se solo non ci avesse messo l’aceto balsamico…
La radio, sintonizzata su un programma di musica soft rimandava le note di un vecchio successo di Barry Manilow. La voce flautata del cantautore riempì il monolocale mentre, presa da una folata di ottimismo, affettava il pane da portare in tavola, senza sale e poco cotto, come piaceva a Norberto.
La candela… meglio non accenderla. Il lento consumarsi della cera, nel caso di un’attesa prolungata, le avrebbe causato un attacco di ansia.
Almeno il Martini era ben riuscito, si consolò tracannandone un sorso direttamente dal mixer: alcolico quanto bastava a mandarti un po’ su di giri e con quella punta di gin che le ricordava il tocco da maestro di Chuky, il barman del Fiesta, la discoteca per single che aveva frequentato quando Norberto era soltanto il fervido sogno di una trentenne in cerca dell’anima gemella.
Era il periodo dell’amicizia con Gioia che faceva la centralinista dell’unico ambulatorio medico nel giro di cinquanta chilometri. Un metro e cinquanta per sessanta chili, occhi azzurri incavati nelle palpebre appesantite dal rimmel e un sedere che ricordava il portabagagli della 313 di Paperino.
Aveva dovuto tirarsela dietro per un anno, con la sua vocetta petulante e quel tic di pulirsi il naso in continuazione alla ricerca di qualche caccola galeotta frutto del suo perenne raffreddore da fieno.
Stava ancora pensando a lei quando, senza accorgersene (ma chi voleva prendere in giro?), compose il numero del cellulare di Norberto.
“…il cliente da lei chiamato…”
– Va a farti fottere! – Ruggì contro la voce registrata (contro Norberto) lanciando il Nokia sul divano e riprendendo il filo dei ricordi.
Gioia, le sue gonnelline/one a balze, le sue canotte colorate che a stento contenevano un seno straripante, i suoi gridolini eccitati quando qualche maschietto si trovava a sfiorarla per la seconda volta sulla pista da ballo. Fosse mai riuscita a rimorchiarsene uno.
Oddio, neanche lei aveva mai concluso la serata nel modo giusto. Non che non ci fosse stata l’occasione, confronto a Gioia era una vera star. Solo che aveva passato l’età per le storie di una notte. A trentasei anni era alla ricerca del partito buono, quello disposto a mettere su famiglia in barba alla moda del single ad oltranza. Uno come Norberto, serio, posato, con un lavoro fisso e le idee chiare in testa: la casa di proprietà, il conto in banca, i figli al momento giusto.
… il cliente da lei chiamato…
– Ri-và-a-far-ti-fot-te-re! – E stavolta lo disse proprio a Norberto. Che ricordasse il bivio per San Firmino non era mica iscritto nel Triangolo delle Bermuda!
Il Martini scese rapido dal mixer facendo scricchiolare i cubetti di ghiaccio nel bicchiere. Ottavia lasciò che le colasse lento in gola poi rovesciò il contenuto della borsetta alla ricerca delle Chesterfield. Al diavolo Norberto e la sua lotta contro il fumo. Aspirò a pieni polmoni la prima boccata e il sapore acre del tabacco le restituì un attimo di pace e una nuova ondata di ricordi.
Chiuse gli occhi e rivide le mani paffute di Gioia che rollavano la canna. E il vecchio divano, quello con la coperta patchwork fatta all’uncinetto da sua nonna. Sentì ancora sulla pelle il calore di quell’estate, il profumo penetrante del pakistano, la mano umida ed esitante che le risaliva lungo la coscia lasciata scoperta dagli shorts, il fremito che le sbocciò, come un timido fiore, nel bassoventre.
Strinse le gambe come per trattenerlo mentre lo stesso languore di allora scavalcava rapido il muro dei ricordi riportandole indietro il sapore di quel bacio proibito, il calore di quel corpo generoso che diventava il suo.
La brace della Chesterfield le cadde silenziosa sulle gambe. La scrollò via con la stessa irruenza con cui aveva scacciato quell’episodio dalla sua mente. Con la stessa aggressività con la quale, il corpo ancora scosso dal turbamento del suo primo orgasmo, aveva sbattuto fuori di casa Gioia. Peccato che, via lei, non era stata più felice, mai più.
Il trillo del cellulare la riportò bruscamente alla realtà.
Dovette riacciuffarlo da sotto i cuscini.
“Butta pure la pasta, tesoro. Tra dieci minuti sono tutto tuo.”
Fece un bel respiro.
“Norberto… è tardi e domani devo alzarmi presto. Ti chiamo io”, clic, “forse…”