Taglio, tinta e messa in piega

 

Questo racconto, firmato LauraetLory, risale al 2009 (come appare evidente dai riferimenti), a dimostrazione che la violenza di genere (e le sue funeste conseguenze) era tema attuale già parecchi anni fa…

***

Sono fuori di due sigarette. Mi ero imposta di concedermene una l’ora. Sono in piedi dalle sette, guardo l’ora: le nove. E dal pacchetto ne mancano già quattro. Tutta colpa di Cristina.

Cristina è la mia migliore amica. Lo è diventata venendo a farsi i capelli da me. Faccio la parrucchiera da quando avevo quindici anni, oggi ne ho parecchi di più. Ho fatto tutta la trafila, shampista, pettinatrice poi il taglio. Oggi ho un salone tutto mio: Da Elide – Trucco e Parrucco.

Elide ovviamente sono io e si può dire che in dieci anni di onorata professione non so se ho pettinato più teste o rimesso in piega più vite. Sono diventata un punto di riferimento per le donne di questa borgata romana. Per Cristina, soprattutto. Ma non avrei voluto cominciare questo sabato mattina con lei che piange nel cellulare. Non è la prima volta che succede, lo sappiamo tutte e due, non sarà l’ultima.

Adesso ricordo: la seconda sigaretta me la sono accesa mentre cercavo di calmarla. Va tutto bene, sta’ tranquilla. Ma chi volevo prendere per il culo, me o lei?

Butto la cicca, fumata fino al filtro, e rientro. È ora di cominciare. A me la prima piega del giorno, a Deborah, la mia shampista, la prima tinta.

“Hai visto la Ventura?”, mi dice la Cenciarelli sventolando la copia di Oggi. “In costume da bagno le magagne vengono tutte a galla, altro che storie!”

“A me sembra una bella donna…”, fa la professoressa Salimbeni sbirciando al di sopra degli occhiali mentre Deborah la spennella di rosso tiziano.

“Certo, quando è tutta vestita e rifinita dai truccatori. Guarda qua che roba: un tronco, senza punto vita e col culo piatto.”

La Salimbeni accetta la provocazione e comincia la solita dissertazione su culi e tette delle vippesse. Io guardo l’ora. Cristina non è ancora arrivata. Non è da lei. Abbiamo un rituale noi cinque: il sabato mattina le uniche clienti sono loro, le mie amiche.

La prima ad arrivare è sempre Federica Cenciarelli, esperta indiscussa di gossip televisivo. Si presenta con due caffè schiumati, cornetti caldi per tutte e la mazzetta dei rotocalchi.

La segue a ruota Marta, la professoressa Salimbeni. Lei si siede davanti allo specchio solo l’ultimo sabato del mese. Fosse per me, glieli farei gratis tutte le volte i capelli, ma è orgogliosa. Con uno stipendio di insegnante di scuola media, un marito pensionato PT e un figlio trentenne fuoricorso a Scienze della Comunicazione, niente di strano che spenda i suoi 30 euro di tintura solo quando la ricrescita è una mezzeria bianca tra le ciocche cotonate.

Mi torna la voglia di fumare. Spio la porta per vedere se arriva Cristina. A varcarla, invece è Giovanna, la mia cliente ideale.

Almeno una volta al mese cambia look. Per lei mi è toccato imparare ad applicare le “estenscion” e a fare lo “sciatusc” proprio come quello che Aldo Coppola fa ad Alba Parietti. Giovanna si è sposata giovanissima con il proprietario della boutique in centro dove faceva la commessa. Per la borgata è quella che ha “svoltato” l’esistenza e non tutti la trovano simpatica, perché ci tiene a renderlo evidente: piercing con brillante all’ombelico, unghie ricostruite, abiti all’ultima moda e un enorme SUV parcheggiato in doppia fila. Tanto la vigilessa è una mia cliente.

“Ciao Cristina…”, dice Deborah alle mie spalle.

Alzo gli occhi nello specchio e finalmente la vedo. Con tutto quello che le è successo stamattina, non ha dimenticato di portarmi il pranzo: pizza appena sfornata.

Le faccio segno di lasciare l’involto nel retrobottega, lì dove mangio. L’orario continuato ha le sue controindicazioni, ma mi permette di chiudere alle diciotto e di tornarmene nel monolocale superaccessoriato che ho comprato quando mi sono liberata di quello scansafatiche di Maurizio. Informatore scientifico sulla carta, aspirante mantenuto nella realtà. Un errore lungo dodici anni.

“Siediti Cri, appena Deborah ha finito con Giovanna, ti metto sotto per la piega”, dico togliendo la mantellina alla Cenciarelli dopo un ultimo giro di lacca. Nessuna sembra essersi accorta dei segni che ha in faccia. Non è così. Tutte sappiamo cosa le fa il marito, ma farglielo notare non le darebbe comunque la forza di reagire.

“Veramente vorrei qualcosa di diverso, oggi…”

Ci metto un po’ a realizzare che mi ha fatto una richiesta. Cristina Moroni è una donna rassegnata, anche per quello che riguarda il proprio aspetto. Dio le ha dato un capello senza forma che lei mi chiede di acconciare in un anonimo caschetto castano.

Mai fatto niente per dissuaderla. So bene che la sua massima aspirazione è essere anonima fino all’invisibilità. E basta guardarla in faccia per capirne i motivi. Neanche il cerone della Max Factor che le ho consigliato riesce a coprire i regalini di quello stronzo di Paolo.

“Era ora!”, fa Giovanna, con un asciugamano a turbante in testa.

“Eh si, figlia mia”, rincara la Cenciarelli. “Ti vedrei bene con un taglio sbarazzino, alla Lorena Bianchetti.”

“Ma per carità”, questa è la Salimbeni. “Meglio uno scalato, magari qualche meches…”

“Lasciate fare a me”, dice Giovanna brandendo il book di Jean-Louis David.

Lo sguardo di Cristina fa la cosa che le riesce meglio: cerca soccorso. Eccomi: “L’esperta sono io, ma prima ci facciamo una sigaretta.”

La quinta. E non siamo neanche a metà mattina.

La strada è il solito caos di auto parcheggiate in tripla fila.

Le accendo la Malboro. Le mani le tremano, probabilmente non hanno mai smesso da quando lui si è accanito sul suo zigomo destro. Quello che le ha già rotto.

“Stavolta che scusa ha trovato?”

Non riesco a trattenermi, ma a soffocare la voglia di abbracciarla sì. Romperei gli argini del suo già scarso autocontrollo.

“Lascia stare.”

Lascio stare. È quello che faccio sempre.

Va avanti così. A Cristina sembra bastare questa piccola complicità, una sigaretta fumata in barba al divieto dello stronzo e la possibilità di un cambiamento. Forse.

Un cambiamento al quale io non credo. E non ci credono neanche le altre. Mi sembra di sentirle mentre aspetto che Cristina finisca di fumare.

“Io non capisco come sia possibile…”, mormora la Salimbeni scuotendo la testa foderata di domopak.

“C’è poco da capire”, la zittisce la Cenciarelli. Federica non è cattiva, è che nel pettegolezzo ci sguazza. “Meglio prendere qualche sberla che tornare a vivere nelle case popolari con fratelli e cognate. E poi Paolo non le fa mancare niente.”

“Anche Giancarlo non mi fa mancare niente”, ribatte Giovanna cominciando spazientita a spicciarsi i capelli umidi. “Ma se mi mette le mani addosso, prima gli mollo un calcio nei coglioni, poi lo rovino dall’avvocato. Dico bene, Deborah?”

“Altroché.”

Deborah è un tipo di poche parole. Per questo l’ho tenuta.

Rientriamo.

“Allora, avete deciso?”, chiede la nostra prof.

“Si”, risponde Cristina lasciandomi di stucco. “Li voglio biondo platino, corti. Molto corti.”

Federica sgrana gli occhi.

“Come la Pivetti?”, chiede.

“La Pivetti mica li ha corti”, confuta Marta.

Io guardo Cristina, cercando di capire.

“Le Pivetti sono due”, pontifica la Cenciarelli, dall’alto della sua esperienza di figurante Rai. “Irene li ha cortissimi, Veronica li porta a caschetto.”

Non le ascolto. Continuo a guardare Cristina.

“Voglio cambiare”, mi dice piano, mentre si siede allo shampoo. “Tutto.”

 

Avrei dovuto capirlo.

Continuo a ripetermi queste parole mentre ripercorro la mattinata di ieri. Cristina che mi affida i suoi capelli, sfibrati e anonimi come la sua vita. Che mi chiede di tagliarli, di snaturarli affogandoli nell’ossigeno a 40 volumi fino a renderli praticamente bianchi. Cristina con quel visetto magro che assume un’altra fisionomia mentre la guardo attraverso lo specchio e le modello le ciocche con il gel, una per una. Mi sorride. Ma è lontana, diversa. Forse è lo schermo dello specchio, forse sono io che non so vederla così, acconciata come una punk. Non che stia male, anzi. Sembra più giovane, più dura… affilata. Anche il suo sorriso lo è stato, quando le altre, a trasformazione avvenuta, le hanno fatto i complimenti. Una nuova Cristina.

Come quella che guardo ora, sullo schermo della tv, nel notiziario delle tredici. Ci sono due uomini che la scortano fino alla macchina. Uno le mette una mano sulle ciocche ancora ispide di gel e la spinge dentro. E poi ancora quello sguardo attraverso il lunotto. Uno sguardo d’addio… affilato. Come il coltello che ha usato per dire basta. E questa volta suo marito ha capito. È stata l’ultima cosa che ha capito, prima di morire.

Ho spento la televisione. Lo scatto dell’accendino rompe il silenzio del monolocale. Un’altra sigaretta scende a riempirmi di fumo i polmoni. La sesta, la settima? Più probabilmente l’ottava di questa giornata del cazzo.

 

Laura Costantini Loredana Falcone

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