Il ragazzo ombra

Odio questo posto maledetto da Dio. Odio questo caldo disumano. Mi manca l’aria, giorno e notte, senza tregua. Non riesco più a dormire. Stanotte ho abbandonato l’inutile riparo della zanzariera e sono uscito sul terrazzo. La luna era talmente enorme da emanare calore essa stessa. E luce. Una luce malata, insana. Raggi innaturali densi del volo di insetti e pipistrelli a caccia. Il fiume sembrava una colata di metallo rovente. Se ne levava un miasma lattiginoso che nulla aveva della purezza immacolata e algida delle nebbie scozzesi. Il mondo sembrava reduce da uno sterminio. Silenzio. Solitudine. Desolazione. E quell’ombra. Ho smesso di disegnare nel momento in cui distinguerla mi ha regalato un brivido. Per un attimo ho ricordato la sensazione familiare del freddo. Ma un freddo dell’anima. Sembrava un fantasma in quella luminosità contro natura. Un fantasma nero, dai tratti indistinguibili, ma dalla grazia inarrivabile. Era sull’argine. E danzava. Una danza strana, guerriera, lenta. Brandiva qualcosa, forse una spada, e ne faceva il fulcro di un duello contro il mondo intero. Il miasma lattiginoso tentava di inghiottirla, ma l’ombra non lo permetteva e ogni stoccata stracciava quel velo reclamando il diritto a esistere. È stata la cosa più bella che abbia mai visto. Talmente bella che non ho avuto la forza di tentare di fermarla sulla carta. Mi avrebbe costretto ad abbandonarla con gli occhi. A perderla. Già il solo battere le palpebre mi faceva temere che si dileguasse rivelandosi irreale, frutto della mia insonnia. Invece restava e continuava la sua danza che era lotta e bellezza e grazia e forza. Ho dimenticato il caldo, il morso delle zanzare, l’aroma putrido del fiume. Sono rimasto lì, fermo, a lasciarmi inondare dalla luce bollente di quella luna straniera su una terra straniera. Niente avrebbe potuto distogliermi. Se non l’ombra stessa. Che all’improvviso si è fermata e ha assunto la mia stessa posa. In piedi. Immobile. Inchiostro di china contro un mondo oscuro e luminoso. Mi ha visto. Ancora una volta un brivido mi ha attraversato. Non potevo distinguerne le fattezze, tanto meno gli occhi. Ma ho sentito il suo sguardo superare la distanza e raggiungermi, toccarmi. Ho avuto paura. Il sudore che intride i miei indumenti da quando sono stato trascinato quaggiù mi si è gelato addosso. Ho temuto di aver compiuto un sacrilegio, di aver violato un qualche tabù, di aver spiato un demone bellissimo e malvagio come questo mondo. Non sono riuscito a ritrarmi, a nascondermi, a fuggire. Per lunghi istanti i miei occhi sono rimasti incollati a quelli, invisibili, dell’ombra. Poi l’ho vista alzare il braccio destro, quello che brandiva la spada. Mi stava salutando.

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