Spaziare tra i generi: un difetto?

Perché un autore dovrebbe confinare la propria creatività all’interno di un unico genere? Premesso che ritengo i generi narrativi una forzatura a uso e consumo della ripartizione in scaffali nelle librerie. A che genere appartiene “Anna Karenina”? Romanzo d’amore, romanzo storico, dramma. Magari solo storia immortale, che dite? Comunque, torniamo a volare basso. Io e la socia non ci siamo mai rassegnate a lasciarci confinare in un genere specifico. Amiamo i romanzi storici per deformazione culturale. Laureate in storia, entrambe, ci appassioniamo alla ricerca documentaria, al ricreare ambienti e contesti ormai sfumati nella distanza del tempo. Pochi giorni fa, durante la premiazione del nostro “Ricardo y Carolina” per l’originalità della storia ci è stato chiesto perché avessimo scelto proprio il Messico del 1865, quello di Benito Juarez e Massimiliano d’Asburgo, quello degli invasori francesi e dei rivoltosi peones. La risposta che ci è venuta spontanea è che ci piaceva approfondire quel mondo, quel contesto e vederlo attraverso gli occhi di una giovane donna italiana, cresciuta a ideali risorgimentali, avventurosa e un po’ incosciente. Il problema è che “Ricardo y Carolina” è, sicuramente, un romanzo storico con un grosso lavoro di ricerca alle spalle. Ma è, anche, un romanzo d’amore. E d’avventura. Con l’editore goWare decidemmo di scegliere una copertina rosa, di sicuro non leziosa, ma è bastato quel colore per allontanare molti lettori, soprattutto maschi. Affibbiare un’etichetta a un libro è sempre un rischio. E una “diminutio” del proprio lavoro. “Il puzzle di Dio”, per esempio, è di sicuro il nostro romanzo più amato e venduto. L’editore, sempre goWare, lo ha classificato thriller. Ma non siamo mai stare convinte che lo fosse. Ci sono tre intense storie d’amore, di cui una omosessuale. Ci sono fortissimi elementi esoterici. C’è l’avventura a metà strada tra Indiana Jones e 007. Ci sono il Nepal, il Marocco, ma anche Roma vista da un punto di vista totalmente diverso dal solito. Noi lo avremmo detto un mistery, forse. O forse, semplicemente, una storia. Appassionante a detta dei lettori. E restando su Roma, a lei abbiamo dedicato due gialli, “Fiume pagano” e “Carne innocente”, che hanno anche dato vita a una coppia di investigatori che è piaciuta e di cui, ci dicono, i lettori sentono la mancanza. Eppure, quando un caro amico che ci stima e ci vorrebbe pubblicate con i grandi nomi dell’editoria, ci indirizzò verso un’agente letteraria di grido, scoprimmo che il nostro vagare tra generi diversi era un difetto. Grave. La dovevamo smettere. Dovevamo decidere cosa saremmo state da grandi. E quindi, in un panorama letterario che pullula di gialli e di noir, scoprimmo che gialli e noir sono ormai obsoleti. Che il genere giusto sarebbe stato un generico sentimentale con caratteristiche seriali, possibilmente di assonanza televisiva. E quindi proprio quel “Ricardo y Carolina” appena premiato, rimase al palo per un paio d’anno nelle mani di questa persona. Errori che si fanno, in buona fede. Certo, ci sarebbe piaciuto uscire con Piemme o Sperling & Kupfer, come ci si ventilava. Ma, alla fine, non è questo che conta. Per noi. Il nostro ultimo nato è, ancora una volta, uno storico: “Contrabbandieri d’amore” per HarperCollins Italia. L’amore c’è, ma ci sono sparatorie, morti, la violenza del Proibizionismo, la discriminazione contro gli immigrati italiani, uno scontro tra culture e modi di vivere opposti. Una storia, senza classificazione. E lunedì prossimo torna sugli scaffali, digitali e non, un nostro romanzo ancora una volta difficile da classificare. “Una voce nella nebbia” edito da Edizioni il Vento antico. Irlanda, due grandi storie d’amore, una giovane non vedente che tutti credono una strega, l’impatto tra un mondo che vive ancorato a credenze antiche e la modernità di una piattaforma petrolifera che porta progresso, inquinamento e tre americani che sono ciechi nei confronti della propria anima. Genere? Boh, fate voi. A noi basta che piaccia a chi lo leggerà.

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